Il ricorso al temporary management si sta radicando in Europa come uno dei
modelli privilegiati per gestire l'accelerazione del cambiamento e dell'innovazione
nelle imprese. Protagonisti di questo trend in crescita sono senior project manager,
ex-dirigenti o top manager che hanno deciso di proseguire la propria carriera
non tanto seguendo l'iter gerarchico aziendale, bensì sulla base di progetti sempre
più sfidanti, per sé e per le imprese che li ingaggiano:
per es.: la "sistemazione" di una business unit nell'ottica di una sua vendita, la conduzione
di un cambiamento strategico o di un turnaround, il lancio di nuove attività all'estero,
il governo di periodi di transizione, lo sviluppo di manager permanenti.
La parola Tempporary quindi non va fraintesa come per una risorsa da formare
temporaneamente, anzi, al contrario questa figura esterna potrà apportare accrescimenti
all'interno dell'azienda e progressivamente, mano a mano che il contratto e la fiducia
reciproca si sviluppano e maturano, potrebbe occupare una posizione sempre più
importante a fianco del Titolare o Dirigente d'Impresa.
E' opinione largamente diffusa e condivisa, sia in letteratura che nel mondo della
pratica, che l'aumento della competitività delle imprese, soprattutto piccole e medie,
possa realizzarsi principalmente attraverso un processo di "ibridazioni successive", cioè
con un incremento significativo delle capacità e competenze manageriali, che le
consentano il salto qualitativo nei tempi stretti spesso imposti dal mercato.
Questo non significa adottare in maniera acritica dimensioni e tecniche manageriali
provenienti dal sistema della grande impresa. Le evidenze empiriche informano infatti
che le soluzioni più virtuose sono quelle in cui convivono logiche tipiche del
management familiare, ispirato soprattutto ai valori di comunità e risparmio, e il
management professionale, che media e regola le dimensioni familiari con la razionalità
economica. Da questa prospettiva emerge la considerazione che la famiglia non sia un
elemento di disturbo, e quindi in qualche maniera da estromettere il più velocemente
possibile dalla gestione dell'azienda, bensì un elemento di valorizzazione da governare
nei processi di crescita.
Il bisogno di managerializzazione, espresso nelle forme più diverse, cresce in maniera
sensibile nel segmento piccole e medie. Nelle aziende, sempre con maggiore frequenza,
si trovano manager nei luoghi apicali o nelle funzioni specifiche che provengono da
contesti differenti e che hanno trovato nelle piccole imprese il luogo adatto dove
valorizzare le competenze tecniche con un work life balance lavorativo. Il processo non
è immediato, la diffidenza è reciproca: l'imprenditore che teme di interagire con un
manager che propone modelli e visioni distanti e spesso configgenti con la cultura
imprenditoriale dell'azienda, spesso alla base del vantaggio competitivo; il manager che
vede l'azienda un luogo chiuso, costruito intorno alla figura dell'imprenditore, in cui gli
spazi e i margini di manovra sono minimi.
In altri contesti, istituti accrediati in tal senso, hanno osservato che le
aziende che hanno sostenuto la crescita più significativa negli ultimi anni, hanno una
governance aperta, in cui consiglieri o manager esterni sono parte del processo
decisionale insieme ad alcuni membri della famiglia. Esiste ed è sempre più consistente
uno spazio di "apertura" delle imprese piccole e medie al mondo esterno e sono
numerosi gli esempi in cui emergono chiari e inequivocabili i benefici di questa scelta.
Quale che sia dunque la formula / alchimia trovata, le soluzioni più virtuose presentano
forme miste di "governance" in cui ragioni e prospettive diverse trovano una sintesi
fortunata nelle scelte aziendali e nel modello di management originario.
Chi sa, fa.
Io accetto la sfida.